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Le Nuove ovvero le vecchie carceri torinesi

A Torino esiste una notevole quantità di interessanti musei da visitare. Tutti conosciamo la ricchezza del Museo Egizio, il fascino del Museo del Cinema all’interno della Mole Antonelliana, le misteriose gallerie percorse da Pietro Micca.

Esistono, allo stesso modo, numerosi altri luoghi poco conosciuti e apprezzati dai turisti come dai locali. Io stessa mi sono meravigliata di aver scoperto, solo un anno fa, il Museo delle Nuove, ossia il vecchio carcere giudiziario torinese ora adibito, grazie all’Associazione “Nessun Uomo è un’isola”, a luogo della memoria. Perchè comprendere meglio un luogo, anche per chi vi è solo di passaggio, implica anche la conoscenza dei suoi aspetti più angosciosi e terrificanti.

Io, terminata la mia visita a le Nuove, mi sono sentita più ricca e consapevole e, ad un anno di distanza, il ricordo di questa esperienza muove ancora emozioni forti e visioni angosciose.

Confesso che sia stato il Museo che più mi ha coinvolta.

Le Nuove nascono tra il 1857 e il 1869, su volere di Vittorio Emanuele II, per rimpiazzare i vecchi luoghi di reclusione (pensare che un tempo anche le famose torri palatine, ora attrazione turistica, erano adibite a tale uso!)

Si tratta di carceri ad isolamento totale e, prima di visitarle, credo di non essermi mai resa conto di cosa questo realmente significasse.

La totale mancanza di contatti cominciava dalle celle, singole, di pochi metri quadrati, con un’unica fessura in alto (le cosiddette “finestre a bocca di lupo”) giusto per permettere la vista del cielo. Proseguiva nell’ora di libertà in un cortile in cui ogni detenuto era separato dagli altri da alte pareti divisorie e terminava in chiesa, dove si poteva pregare, ma solo in assoluto silenzio, ognuno nel suo “cubicolo”.

Io, che di claustrofobia ci soffro, ho patito alla mancanza di aria solo alla vista di tali luoghi, non riesco a immaginare cosa significasse passarci mesi, anni…e magari morirci anche, là dentro.

Negli anni all’interno del carcere sono stati rinchiusi antifascisti, partigiani, deportati, ebrei e, più recentemente, operai in rivolta, mafiosi, terroristi.

Riscaldamento e acqua corrente sono stati introdotti solo dopo il 1960. Prima veniva fornito un solo recipiente d’acqua per bere e per l’igiene personale.

Ogni volta che, casualmente, passo da quelle parti, non riesco a fare a meno di lanciare un pensiero a tutte le storie di vita spezzate all’interno di quell’istituto.

Con la speranza che Ignazio Vian ed Emanuele Artom non vengano ricordati solo come nomi di vie o di scuole elementari.

http://www.museolenuove.it/home.asp

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